Resoconto "Pasolini è morto?" a cura LICEO COPERNICO



PASOLINI E’ MORTO?

a cura di Giulia Corradin, Beatrice Lelli, Elena Levi, Beatrice Vigni,  5 I  liceo Copernico

Nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, Pier Paolo Pasolini venne brutalmente ucciso all’ Idroscalo di Ostia e ancora oggi, a 40 anni dalla sua morte, le dinamiche dell’accaduto non sono state ancora ricostruite totalmente. 
In suo ricordo, Carlo Lucarelli ha organizzato un incontro-dibattito, che si è tenuto sabato 21 novembre 2015 presso la Casa della Conoscenza di Casalecchio di Reno (Bologna), per indagare sui fatti e sugli interrogativi ancora senza risposta relativamente alla scomparsa di colui che viene ritenuto uno dei più grandi intellettuali italiani del ventesimo secolo.
L’appuntamento “Pasolini è morto?” non vuole semplicemente cercare di ricostruire come si sia consumata la tragedia durante quella notte di novembre di quarant’anni fa, ma  tenta anche di analizzare le critiche che  vennero fatte all’artista, sia prima che dopo la morte.

Il primo intervento è quello di Carla Benedetti, saggista e critica letteraria nota per avere pubblicato nel 1998 “Pasolini contro Calvino: per una letteratura impura”, libro che suscitò notevoli dibattiti. Lei definisce Pasolini come un “personaggio che fa litigare anche dopo la sua morte”. Viene accusato di populismo, screditato ideologicamente, ritenuto un reazionario e nemico del progresso, ma non solo: anche le sue opere sono soggette a molte critiche e talvolta vengono addirittura lette come prodotti di una sua interna patologia. Ne è esempio il film da lui diretto nell’ultimo anno della sua vita, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, il cui messaggio di fondo riguardante il potere politico fu totalmente travisato dai critici, che giudicarono l’opera come un modo narcisistico, da parte dell’autore,  per parlare di se stesso ed attirare di conseguenza l’attenzione.
Il problema fondamentale, infatti, spiega la signora Benedetti, è che Pasolini viene celebrato ma non capito, anche a causa della sua tendenza a cercare la verità nella sua interezza. Una ricerca costante, condivisa per esempio anche con i lettori del "Corriere della Sera" nel famoso articolo scritto nel 1974 intitolato “Il romanzo delle stragi”, al fine di contrastare senza mezzi termini e con grande coraggio l’opportunismo e l’ipocrisia di una società che voleva e tuttora vuole nascondere tutto ciò che risulta scomodo. L’opinione pubblica, inoltre, non ha mai saputo separare la vita privata di Pasolini dai suoi interessi intellettuali: non è un caso che la dichiarata omosessualità dell’artista abbia dapprima influito negativamente sulla sua carriera, a tal punto che  molte opere sono state interpretate unicamente alla luce del suo orientamento sessuale, e in secondo luogo che si sia giunti erroneamente alla conclusione che la sua morte corrisponda ad un delitto passionale.

Parlando più specificamente dell’omicidio, la parola viene data a  Lucia Visca, una delle prime giornaliste che arrivarono sul luogo del delitto in quel fatidico 2 novembre. Il cadavere era irriconoscibile, dice, evidentemente massacrato prima in uno scontro corpo a corpo, data la quantità di capelli presenti lì accanto, e poi straziato dal passaggio di una macchina ripetuto più e più volte, intuibile dai segni di pneumatici vicino al luogo dell’accaduto. Lungo la strada non vi erano altre tracce, se non una camicia bianca con attaccata all’etichetta del marchio una targhetta della lavanderia, su cui era scritto “Pasolini”. Fu in quell’istante che il corpo venne riconosciuto e fu proprio in quello stesso momento che, come Visca racconta, tutti rimasero pietrificati davanti all’identità del cadavere. Nessuno si sapeva spiegare per quale ragione un uomo di altissimo ingegno come Pasolini potesse essere stato massacrato con una tale ferocia. Le indagini ovviamente continuarono e la giornalista approfittò della caotica situazione per far arrivare la notizia alla redazione del suo giornale, “Paese sera”, prima di tutte le altre, anche attraverso alcuni escamotage tipici del mestiere, come togliere il microfono dalla cornetta delle cabine telefoniche limitrofe affinché gli altri giornalisti non potessero telefonare per diffondere la notizia.
Gli interrogativi sulla morte di Pasolini erano molteplici e le investigazioni, che si rivelarono decisamente caotiche, non aiutarono a risolvere il caso. Le prove venivano poste all’interno di normalissimi sacchetti bianchi per la spazzatura, senza il minimo riguardo nel mantenere i resti inalterati; la camicia che permise l’identificazione del cadavere venne toccata da tutti; sull’Alfa Romeo guidata da Pino Pelosi, colui che verrà ritenuto il carnefice di Pasolini, vi era un’impronta di sangue, come se qualcuno ci si fosse appoggiato con la mano ferita per aprire la portiera, ma il mezzo non fu portato immediatamente alla scientifica al coperto per poterlo analizzare: lo parcheggiarono fuori dalla caserma e in una notte di pioggia le tracce si persero. In poche parole, le indagini vennero condotte con un’estrema superficialità e la teoria che l’omicidio potesse essere di natura sessuale, anche a causa della vicinanza a delle baracche ove erano noti giri di prostituzione, rimase sempre piena di lacune e contraddizioni.

Il terzo ospite, Guido Calvi, avvocato di parte civile nel processo per la morte di Pasolini, approfondisce le varie teorie che incominciarono a farsi strada dopo la diffusione della scioccante notizia. Quella più accreditata, come già detto, è che si trattasse di un omicidio passionale; altri sostenevano che Pasolini avesse voluto sapere troppo e che si fosse trovato di conseguenza volontariamente in una situazione pericolosa. Tuttavia nessuna delle due motivazioni è risultata suffragata da prove convincenti, mentre c’è stato chi sin dall’inizio sosteneva che si trattasse di un omicidio politico, ipotesi che però non venne minimamente presa in considerazione. Sembra ancora oggi chiaro che si volesse nascondere la verità e ricostruire l’accaduto in modo che non si venisse a conoscenza di fatti che avrebbero potuto portare allo smascheramento dei reali colpevoli. Calvi spiega, infatti, come la versione delle dinamiche dell’omicidio che tutti noi siamo abituati a leggere sia totalmente inverosimile: venne accusato il minorenne Pino Pelosi, trovato dalla polizia locale sul porto di Ostia mentre si stava allontanando dal luogo del delitto a bordo dell’autovettura di Pasolini, la stessa sulla quale era stata trovata la famosa macchia di sangue. La cosa interessante, spiega, è che Pelosi era un ragazzo decisamente troppo esile e minuto per avere la forza di prevalere su un uomo energico come Pasolini. Inoltre il cadavere era stato straziato a tal punto che se Pelosi fosse stato realmente colpevole avrebbe dovuto avere anch’egli tracce di sangue, cosa che non venne riscontrata poiché venne portato in questura in uno stato perfetto, vestito di bianco ed evidentemente senza tracce di colluttazione, fatta eccezione per una piccola ecchimosi sulla fronte, dovuta però ad una brusca frenata all’arrivo della polizia. Pelosi era senza dubbio coinvolto ed essendo minorenne venne condannato con la pena massima di anni prevista per la sua età, tuttavia non era certamente solo, come evidenziato dalla presenza, sui vestiti dello scrittore e regista, di tracce di Dna appartenenti ad altre persone e non a Pino Pelosi.
Calvi conclude dicendo che Pasolini, per non rischiare la morte, non avrebbe dovuto più né parlare, né scrivere: era un personaggio politicamente scomodo, non si faceva scrupoli nel dire ciò che lui pensava delle realtà celate, in una maniera accusatoria che non lasciava spazi alle giustificazioni, anche se era consapevole di essere in pericolo, come disse in un’intervista rilasciata al giornalista Furio Colombo poche ore prima di morire e apparsa dopo l’omicidio su la Stampa : “Ecco il guaio, […] con la vita che faccio pago un prezzo. E’ come uno che scende all’inferno. Ma quando torno, se torno, ho visto altre cose, più cose”.

L’ultimo intervento è quello di Giovanni Giovannetti, giornalista e autore di inchieste che hanno sempre suscitato forti reazioni. Come punto di partenza decide di affrontare “Petrolio”, l’ultimo romanzo di Pasolini, iniziato nel 1972 ma rimasto incompiuto. Nonostante si tratti di un’opera frammentaria,  la critica agli anni ’70 emerge con grande forza ed evidenza: Giovannetti spiega, infatti, che così come la società in quel periodo era totalmente scardinata, nemmeno l’opera poteva avere una struttura logicamente ordinata, con un inizio o una fine. Pubblicato 17 anni dopo la morte dello scrittore, “Petrolio” venne  definito dall’opinione pubblica come un “non-romanzo” privo di dignità artistica. Giuseppe Bonura, scrittore e critico letterario, sull’ “Avvenire” lo screditò completamente, considerandolo una mal riuscita “ipotesi di una ipotesi di libro”, ossia un insieme indefinito di appunti privo di fondamento.
Molti di quelli che si permisero di commentare Pasolini in modo negativo, nemmeno lessero le sue opere, come il giornalista Nello Ajello, che tuttavia lo stroncò su “Repubblica” definendo l'opera postuma come "un immenso repertorio di sconcerie d'autore”. Pare quindi quasi scontato dire che nonostante fosse un uomo di grandissimo spessore culturale, non gli fu mai resa giustizia, né ricevette molte gratificazioni. Ma perché allora ancora oggi così tanti critici continuano a parlarne se credono che non sia nemmeno degno di essere ricordato?

Guido Calvi ricorda, a questo proposito,  che solo in Italia Pasolini è stato deriso ed emarginato dagli altri intellettuali, che non condividevano le sue idee, mentre nel resto del mondo la sua cultura viene ritenuta universale, degna di essere compresa e approfondita, a prescindere dalla storia personale dell’autore, come fece per esempio un giornalista di Varsavia che tradusse le “Poesie a Casarsa”  in polacco.

Carlo Lucarelli, attraverso questo incontro, ci ha fatto giungere ad una conclusione, ossia che Pasolini rimarrà sempre offuscato da due elementi.  Da un lato vi sono i pregiudizi, poiché egli, da intellettuale coerente con i propri ideali, risultava scomodo perché andava controcorrente all’interno di un sistema politico corrotto e all’interno di una società non pronta alla verità.
Dall’altro lato la sua figura rimarrà avvolta sia dal mistero che dalle menzogne, poiché mai probabilmente nessuno sarà in grado di colmare quei vuoti che riguardano la sua morte, nonostante le prove non siano mai mancate. 


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