PASOLINI E IL FRIULI
Relazione dell’incontro con la dott.ssa Felice al
Liceo Galvani
a cura di Costa Edoardo, Ronchi Michele e Pin
Alessio 5 O
Mercoledì 10 febbraio 2016 nell’ambito
dei progetti per celebrare il quarantennale della morte di Pier Paolo Pasolini,
è intervenuta, nella cornice dell’aula Zambeccari del Liceo Galvani, la
dott.ssa Felice, esperta di friulano e grande conoscitrice dei testi dialettali
dello scrittore che a Casarsa trascorse anni molto importanti per il processo
di maturazione del suo pensiero.
Il
fiume Tagliamento divide il Friuli in due parti che si caratterizzano per la
diversità dei dialetti parlati, ma rappresenta anche un punto strategico molto
importante per gli eserciti nel corso della Grande Guerra. Proprio nella zona
di Casarsa erano, infatti, situate centinaia di caserme e in una di queste vi
era di stanza il futuro padre di Pier Paolo, Carlo Alberto. Anche dal nome si
capisce come provenga da una famiglia di nobili decaduta. A Casarsa Carlo
Alberto conosce Susanna, una donna indipendente, che insegna alle scuole del
paese. Susanna diventerà poi la madre di Pier Paolo, con il quale stringerà un
legame fortissimo e a cui resterà vicino fino alla morte nel 1975.
Quando
Pier Paolo e la madre torneranno a Casarsa nel corso della Seconda Guerra
Mondiale egli riscopre il dialetto di quella parte del Friuli, un dialetto
dalle tonalità musicali e dai suoni martellanti. Il dialetto di Casarsa è
infatti ricco di influssi ladini e risente dello statuto bilingue della
regione. Pasolini riconosce nel dialetto una lingua vera e propria, di diretta
derivazione dal latino. Questa teoria compare per la prima volta nel primo
saggio teorico scritto in friulano dell’aprile del 1944 e pubblicato dopo la
raccolta “Poesie a Casarsa”. Con l’utilizzo del dialetto Pasolini sviluppa la
propria formazione del CUORE, cioè il compimento della ricerca del vero,
irraggiungibile con l’utilizzo dell’italiano, lingua della borghesia. Secondo
lo scrittore originario di Bologna il dialetto è il suono che si succhia dal
seno materno, il suono della verità e della vita. Questo suono, che non impari
leggendo bensì ascoltando, è istintivo e scava nel nostro profondo, raggiunge
le radici dell’essere. Studiando i suoni delle parole dialettali, Pasolini
comprende che tramite il friulano è possibile rappresentare la realtà delle
cose molto più accuratamente che tramite la letteratura.
I
suoni diventano parole nel momento in cui il poeta prova a tradurli in poesia e
quindi a metterli per iscritto. Nel periodo a Casarsa, infatti, Pasolini
raccoglie in riviste totalmente scritte in friulano tutte le poesie dialettali
composte da lui e dai suoi allievi. Sempre nello stesso periodo egli riallaccia
i rapporti con quelli che poi saranno i co-fondatori di “Officina”. Mentre
Leonetti e Roversi pubblicano poesie in italiano, Pasolini continua nella sua
attività dialettale. Nel 1949 esce la raccolta “ La meglio gioventù” della
quale fa parte la poesia “Il nini muàrt”:
Sera imbarlumida, tal fossàl
a cres l'aga, na fèmina plena
a
ciamina pal ciamp.
Jo ti recuardi, Narcís, ti vèvis il colòur
da la sera, quand li ciampanis
a súnin di muàrt.
La
dedica di questa poesia, e più in generale dell’intera raccolta, è proprio
diretta al paesino di Casarsa, definito dal poeta come la “fontana del rustico
amore”. La raccolta è divisibile in due
tronconi fondamentali. Nel primo, definito “polemico” egli critica aspramente
il padre, reo di non essersi opposto fortemente al fascismo, e il fascismo
stesso, reo in primo luogo di aver estromesso dalle scuole il dialetto. Tutte
le lingue estranee all’italiano diventavano così marginali. In seguito Pasolini
attaccherà anche il nazismo, dopo quell’8 settembre in cui le truppe tedesche
invadono il Friuli e mirano a germanizzare anche linguisticamente la regione.
Una forte critica viene rivolta anche alle Università, nelle quali mancava lo
studio della lingua come espressione letteraria delle cose reali.
Il
secondo troncone della raccolta invece contiene gli aspetti positivi delle teorie
pasoliniane. In questa parte il poeta ribadisce l’importanza di utilizzare una
lingua che esprima la realtà. Seguendo questa corrente egli spiega anche perché
il friulano di Casarsa è la lingua giusta da utilizzare. Questo friulano dal
suono squisito non è mai stato messo per iscritto precedentemente, e dunque è
rimasto antico ed incontaminato. Questo dialetto è inoltre la lingua dei poveri
e quindi acquista un valore antropologico nel denunciare l’estrema povertà
della classe sottoproletaria friulana. Il dialetto è anche utilizzato per
narrare delle grandi gesta di Napoleone, acquistando così valore epico.
Anche il titolo della
raccolta ha un significato importante: l’aggettivo “nuovo” non riveste un ruolo
positivo poiché rappresenta una velata critica al mondo giovanile attuale,
troppo attratto dal dal
consumismo della società a lui contemporanea.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.