martedì 15 dicembre 2015

La saggistica di Pasolini (Walter Siti)


La saggistica

Pier Paolo Pasolini
La saggistica Pier Paolo Pasolini secondo Walter Siti
.
.
Walter Siti, in una conversazione raccolta dalla Redazione di Rai International in occasione delle prime uscite dell'opera omnia pasoliniana pubblicata nei "Meridiani" Mondadori, parla di alcuni aspetti
della produzione artistica di Pier Paolo Pasolini.
Qui di seguito riportiamo alcune citazioni
del pensiero di Siti, tratte da tale intervista
.

ARGOMENTI
La componente autobiografica nell'opera di scrittore di P. P. Pasolini
La scrittura poetica di Pasolini
Nei "Meridiani" la "riscoperta" delle pagine inedite di Pasolini
I due casi di "Petrolio" e di "Atti impuri"
Mai scrittore è stato tanto fotografato come Pasolini 
Pasolini, ovvero lo scandalo intellettuale che fa discutere
La politica secondo Pasolini
La solitudine di Pasolini
Ancora adesso, leggere Pasolini non è innocuo...
* * *
La componente autobiografica nell'opera di scrittore di Pier Paolo Pasolini
[...] Per Pasolini possiamo dire che la sua scrittura presenta un forte quoziente autobiografico. Ma il punto su cui avevo focalizzato la mia attenzione era che da un certo periodo in poi, direi soprattutto dal 1965, cambia la poetica di Pasolini e in questa sua nuova poetica, che per brevità si potrebbe chiamare "poetica del non finito", è previsto che la parola scritta venga in qualche misura integrata dalla persona stessa dello scrittore, cioè da quello che il lettore sa e conosce dello scrittore o se vogliamo dalla tensione che il testo lascia presupporre al di fuori del testo. Non è tanto un rapporto tra scrittura e vita empirica di Pasolini, quanto un rapporto tra la scrittura e "l'immagine virtuale" dell'autore come lo percepiamo fuori del testo. Nella "Divina Mimesis", per esempio, il ‘gesto’ di decidersi a pubblicare è quasi più importante del 'testo' che viene pubblicato. Si potrebbe dire che Pasolini cerca una scrittura volutamente imperfetta in modo che nelle lacune e nelle imperfezioni di essa ci sia una possibilità di integrazione con quello che sta fuori della scrittura e che può essere un'azione compiuta dall'autore, ciò che conosciamo di lui, o anche la passione stessa dell'autore che viene a integrare il testo scritto.
[...]
La scrittura poetica di Pasolini
Ricordiamoci che Pasolini ha esordito come poeta. Questo è importante, perché la sua scrittura più istintiva resta certamente quella poetica, e il suo temperamento è più quello del poeta che del romanziere. Nel 1941 esordisce come poeta, cinque anni dopo butta giù un diario da cui poi nasce un romanzo autobiografico e da lì la necessità di confrontarsi anche con la prosa. Il bisogno della prosa all'inizio è soprattutto un bisogno di autoanalisi. Di capire qualcosa di se stesso in maniera più analitica di quanto si possa fare con i versi. Da quel momento, dal 1946 e fino a quando è morto nel 1975, qualche progetto narrativo lui l'ha sempre avuto, tanto che in realtà si potrebbe dire che la sua stagione narrativa è durata trent'anni. Solo che poi molti di questi progetti narrativi non li ha pubblicati lui vivo. Se calcoliamo, infatti, soltanto i romanzi che lui stesso ha pubblicato, questi comprendono certo un periodo più breve, mentre i progetti narrativi testimoniati dai suoi dattiloscritti comprendono invece trent'anni. È vero però che, nel momento in cui Pasolini scopre il cinema, scopre un'urgenza nuova. In una lettera ad Anceschi rifiuta una collaborazione dicendo di non aver tempo perché occupato moltissimo dal cinema e perché "mi sto accorgendo che il cinema oggi mi pone delle domande sul piano narrativo e dei problemi di linguaggio molto più interessanti di quelle che mi pone il romanzo contemporaneo". Quindi, probabilmente, è vero che in questo periodo è finito il suo entusiasmo per il progetto dei "Romanzi romani" e per quello stile realistico-espressionista basato sulla mescolanza tra lingua alta e regressione nel parlato popolare. Finito quell'entusiasmo e quello per il romanesco (pensava di ricorrere ad altri dialetti per i suoi romanzi), c'è un momento di pausa per quanto riguarda la narrativa; tra il 1959 e il 1964-1965 Pasolini attraversa un momento di smarrimento come romanziere e non a caso questo è il periodo in cui decolla il suo cinema. Il cinema viene quindi a supplire ad un momento di crisi del romanzesco.Poi negli anni successivi sono come due cose che scorrono parallele, fino al caso estremo di "Teorema", in cui lui scrive addirittura, su due tavoli, il film e il romanzo. Negli ultimi anni si ha l'impressione che lui affidi al cinema le storie più di tipo simbolico, affidandosi a trame ben consolidate nel mito o nella letteratura - quindi la tragedia greca, Boccaccio, Chaucer, "Le mille e una notte", eccetera - mentre come progetto romanzesco scritto sta covando "Petrolio" che invece è una cosa piuttosto segreta, legata all'analisi di sé, delle proprie contraddizioni intime. La cosa scritta è più classicamente autobiografica, mentre al cinema affida invece una narrazione molto più fondata su modelli mitici o su modelli tradizionalmente letterari.
[...]
La sua attività di poeta inizia fondamentalmente dalle parti di Rimbaud, cioè dall'idea di una poesia che si muove da una specie di profondità di cui lo stesso poeta non è consapevole e che tende, diciamo così, a "cambiare la vita", come recita la famosa frase di Rimbaud. I modelli del Pasolini poeta sono più che altro gli spagnoli, da Machado a Garcia Lorca, ma lo è anche Verlaine. È il Pasolini prosatore che nei primi anni, tra la fine dei '40 e i primi '50, risente molto dell'influenza di Proust e la "Recherche" è il suo punto di riferimento come grande modello autobiografico. Verso la metà degli anni '50, quando a Roma Pasolini abbandona l'influenza proustiana (anche perché incomincia a considerare la scrittura di Proust come la scrittura borghese per eccellenza e quindi non é  adatta più ai suoi nuovi interessi - i suoi personaggi sono più vicini al mondo delle borgate e molto lontani da quelli di tipo borghese), in quel momento l'idea di una grande scrittura autobiografica non trova più come referente Proust, ma il Dante della "Divina Commedia" che gli dovrebbe fare da guida in questo inferno che sono le borgate romane. La cosa diventa ancora più esplicita nella "Divina Mimesis", dove appunto dovrebbe essere Dante a guidarlo attraverso vari episodi della storia italiana, anche se poi a Dante si sostituisce lui stesso. Insomma, è come se Proust e Dante si passassero un po' il testimone in una specie di staffetta lungo l'asse autobiografico attraverso il quale si distende la sua narrativa.
[...]
Nei "Meridiani" la "riscoperta" delle pagine inedite di Pasolini
Il settanta per cento delle pagine che Pasolini ha lasciato inedite sono state pubblicate già prima di questa edizione dei "Meridiani". "Atti impuri" e "Amado mio", per esempio, - i due romanzi omosessuali che lui aveva lasciato inediti non tanto, probabilmente, per un'insoddisfazione di tipo stilistico quanto per un problema di opportunità esterna (l'idea di pubblicare in Italia alla fine degli anni '40 due romanzi di questo tipo non era una cosa che si prestasse a essere accolta senza polemiche o accanimenti vari, e in effetti aveva pensato di pubblicarli all'estero, in Francia) - molti di questi inediti, da "Romans" fino a "Petrolio" stesso, erano già usciti prima che cominciassimo il lavoro con Mondadori. Era quindi impossibile non inserirli, visto che tra l'altro molti critici li ritengono i testi migliori del Pasolini romanziere. Noi abbiamo semplicemente aggiunto alcune cose che non si conoscevano ancora, come il romanzo-pamphlet intitolato "Il disprezzo della provincia", o la prima parte di quel progetto sul romanzo del mare che aveva progettato di scrivere nel 1951. Poi, abbiamo fatto un lavoro che potremmo definire di tipo "genetico", cioè abbiamo messo in appendice ad ogni romanzo i materiali che testimoniano il lavoro di elaborazione, e cioé le prime stesure, frammenti staccati e poi censurati, eccetera. Per noi si è trattato di un lavoro di completamento, che serve a dare l'idea di come spesso per Pasolini "romanziere" conta di più il lavoro di avvicinamento al testo che il testo medesimo. Il caso che mi sembra in questo senso più evidente è quello de "Il sogno di una cosa", dove il romanzo così semplice, così elegiaco, così puro del 1962, proviene però da una stesura molto più magmatica e lunga quasi il doppio; abbiamo insomma messo in appendice tutte le parti tagliate, per mostrare il lavoro che lui ha fatto per arrivare al romanzo finale.
[...]
I due casi di "Petrolio" e di "Atti impuri"
Sono due testi di valore sicuramente alto, spesso giudicati il punto più alto del Pasolini romanziere. Nel primo caso abbiamo un progetto in cui Pasolini non è riuscito a decidere tra la prima e la terza persona, e che rappresenta questo tentativo lento e anche affascinante di passare dal diario a una scrittura narrativa vera e propria. Nell'altro caso, interrotto dalla morte, anche il romanzo finito sarebbe dovuto apparire come l'edizione critica di un romanzo incompiuto. Mentre nel primo caso il "non finito" era accidentale, nel secondo era assolutamente calcolato; anche se è chiaro che il "non finito" in cui si trova adesso "Petrolio" è molto più "non finito" di come lo avrebbe voluto lui, la qual cosa genera anche pagine del tutto incomprensibili...
[...]
Mai scrittore è stato tanto fotografato come Pasolini
Proprio la presenza fisica di Pasolini è stato un dato importante nell'immaginario collettivo. Per vari motivi, il principale dei quali è che lui ha fatto cinema. Oltre a tutte le normali foto dal set che ciò comporta, fece anche la comparsa in diversi altri film tra cui "Requiescant" e "Il gobbo" di Lizzani. Ciò diede l’occasione ai media, quando fu sottoposto a quell’accusa un po’ assurda del benzinaio del Circeo che diceva di essere stato minacciato da Pasolini con la pistola, di sbattere su tutti i giornali la foto di Pasolini con il mitra, che naturalmente era una foto di scena. In questo senso i mass media hanno giocato sporco nell'utilizzare la sua immagine e nel farne un "personaggio" scandaloso. Da un lato credo che sia una cosa avvenuta indipendentemente dalla volontà di Pasolini stesso, però è anche vero che lui a un certo punto della sua vita ha incominciato a pensare che questa "presenza" fisica potesse essere invece funzionale, proprio per dare "peso" a quello che scriveva. Ha usato un po’ il metodo degli attori di teatro che compiono degli esercizi per accrescere la forza della loro "presenza" scenica indipendentemente dal testo che recitano, e ho l’impressione che Pasolini a un certo punto abbia pensato ai suoi interventi sui media come esercizi per ottenere il fatto che quando lui avesse pubblicato un testo, questo risultasse carico di questa specie di qualità che assomiglia alla "presenza" degli attori. Pasolini che scriveva sulla prima pagina del "Corriere della Sera" non aveva lo stesso peso che avrebbe avuto - mettiamo -   Palazzeschi (e quindi anche a parità di bravura) se Palazzeschi avesse scritto sullo stesso giornale. Il tipo di "presenza" che Pasolini si era guadagnato con questo rapporto, anche molto conflittuale con i media, è certamente la ragione per cui i suoi interventi hanno un "peso", che diventa poi anche qualità estetica. Pasolini ha sempre avuto uno straordinario talento nel valorizzare al massimo i suoi testi, rendendo ciascuno di essi problematico e sorprendente. A un certo punto credo che lui si sia reso conto che c’era questa sorta di effetto "addizionale" legato proprio alla sua presenza fisica e lo ha usato anche un po’ cinicamente per dare spessore a quello che andava scrivendo.
[...]
Pasolini, ovvero lo scandalo intellettuale che fa discutere
Il tema dello scandalo per Pasolini è una cosa vecchissima, nata quasi insieme alla sua scrittura, forse solo le poesie del primo periodo di Casarsa ne sono immuni, poi intorno al 1946 e al 1947, appena entra il tema del peccato nella sua poesia e appena comincia a scrivere il suo diario, insieme al tema del peccato entra anche quello dello scandalo. Tema dello scandalo, che naturalmente è un po' ambiguo: da una parte c'è in lui una vena evangelica che lo porta a credere che bisogna che gli scandali accadano, che ci sia qualcuno che faccia esplodere le contraddizioni; dall'altra non c'è dubbio che il fatto di essere presentato come un essere scandaloso lo porta poi a soffrirne, e molto, da un punto di vista personale. Ci sono delle lettere, per esempio a Nico Naldini, dove lui ripete tante volte che non vuole rappresentare un caso letterario, ma essere giudicato soltanto come uno scrittore. Da questo punto di vista il fatto di essere continuamente additato come oggetto di scandalo diventa un fatto che gli nuoce. Poi rientriamo nella dialettica di cui abbiamo detto prima, cioè che lui a un certo punto si fa forte dell'essere uno scandalo fino a rivendicarlo come una specie di estrema ribellione, fino alla prefazione della "Divina Mimesis" dove dice: "Pubblico questa cosa, sapendo che non mi è riuscita, per fare un dispetto ai miei nemici. Infatti dando ad essi un'occasione di più per disprezzarmi, offro loro un'occasione in più per andare all'inferno". In qualche modo Pasolini si pone come oggetto di disprezzo come per dire: "Io so che per i media sono questo, lo rivendico e lo inglobo nella mia attività creativa".
[...]
La politica secondo Pasolini
Per quanto riguarda la politica, bisogna dire che lui ha cominciato a occuparsene molto presto e all'inizio il suo antifascismo di ragazzo era una cosa quasi esclusivamente intellettuale; quando i suoi amici di Bologna sono passati a un'azione più militante, lui si è tirato indietro. Anche se il fratello partecipò alla Resistenza attiva dicendo che era stato Pier Paolo a dargli le idee politiche per compiere questa scelta, resta il fatto, però, che Pasolini non passò mai all'azione partigiana. L'adesione nel 1948 al Pci. è stata invece del tutto convinta e certamente da quel momento fino alla sua morte lui si è sempre considerato un ‘compagno di strada’ dei comunisti. Da questo punto di vista non ci sono molte ambiguità e la destra non può alludere a periodi in cui Pasolini si sia politicamente avvicinato alla destra. Talvolta si sentiva più vicino ai comunisti, come gli anni in cui scriveva per "Vie nuove", e talvolta più vicino alla sinistra cattolica o ai radicali, ma tornava sempre alla ‘casa madre’ del Pci. Si è tanto parlato della sua posizione nel '68, magari facendo riferimento alla   famosissima poesia su Valle Giulia, su cui si sono creati però tantissimi equivoci. Ma se noi leggiamo i suoi scritti più direttamente politici che scriveva su "Tempo Illustrato" (nella rubrica "Il Caos") in quell'anno, le sue posizioni sono molto simili a quelle che oggi potrebbe avere Occhetto. Sono posizioni che partono dalla sinistra radical americana. Lui infatti era stato nel '66 a New York e aveva conosciuto la "New Left" americana da cui era stato affascinato. Pasolini parte dall'idea che, in una situazione come quella del capitalismo avanzato, l'idea di applicare in un modo radicale la democrazia abbia in se stessa qualcosa di rivoluzionario e che quindi il massimo della rivoluzione che si può fare in Occidente è chiedere una applicazione radicale della democrazia, della democrazia diretta, della democrazia partecipativa che lui tiene molto a distanziare dalla socialdemocrazia; quindi niente di consociativo o di socialdemocratico nel senso che comunemente si dà a questo termine, ma un'applicazione radicale di quella che lui chiama la democrazia reale, per cui, anche da questo punto di vista, non potrà mai esserci alcun avvicinamento alla destra. Non bisogna dimenticare che proprio nel '68 partecipò all'occupazione della Mostra del Cinema di Venezia e che fu uno dei più attivi nel credere in una ipotesi di autogestione. La ragione per la quale alcuni ideologi di destra rivendicano qualcosa di lui, non è di ordine prettamente politico, ma sta nel fatto che per lui il conformismo di qualunque tipo è sempre stato il grande nemico. E quando ha cominciato ad accorgersi che il consumismo era riuscito a integrare anche un certo tipo di opposizione di sinistra, rendendola funzionale al consumismo stesso, allora ha cominciato a opporsi a queste idee di sinistra in quanto inglobate dal consumismo. Per cui una certa tolleranza sessuale, una certa idea di dissoluzione della famiglia (che erano sue idee da giovane e che rimanevano di sinistra), lui le vede funzionali al consumismo, in quanto il consumismo ha bisogno anche di giovani consumatori. Così l'idea stessa della disobbedienza - vedere i ragazzi "disobbedienti con i capelli lunghi" che indossano tutti la stessa maschera di contestatori - lo spinge ad esaltare i ragazzi "obbedienti con i capelli corti", ma a questo punto quasi come per una specie di negazione della negazione. L'unico scrittore di destra da cui si fa seriamente influenzare è probabilmente Eliade, perché collega i suoi lavori alle proprie idee sulla sacralità della vita. Ma per il resto ha sempre condannato le ribellioni vitalistiche e soreliane, anche se è vero che per lui l'unica rivoluzione che funziona è quella allo stato nascente. A Pasolini le rivoluzioni piacciono solo nella fase in cui nascono. Nel momento in cui si solidificano e comincia a esserci una gerarchia rivoluzionaria, diventano una forma di potere. Di fatto, tra i suoi eroi non ci sono stati mai né Mao-Tse Tung né Fidel Castro.
[...]
La solitudine di Pasolini
Credo che la solitudine in Pasolini sia proprio un suo dato caratteriale. Fin da giovane abbiamo l'impressione di una scissione all'interno di lui, che è poi un altro dato che lui sottolinea sempre. È come ossessionato dal fatto che in lui ci siano due persone diverse, distinte, divise, fino ad arrivare a certi incubi in cui dice di essere visitato dal suo cadavere. Però, diciamo che queste due persone che si dividono possono essere da una parte una persona molto estroversa e che ama molto la compagnia, ama vivere, giocare a calcio, e dall'altra una persona in totale solitudine che guarda l'altra vivere. Si ha l'impressione che questo sia uno dei suoi atteggiamenti principali sin dall'inizio, il che è strano, pensando a una persona dotata di quell'energia vitale che lui aveva. Certamente, la solitudine è un suo dato originario, anche se controbilanciato dal carattere allegro e estroverso. Man mano che va avanti con gli anni, questa solitudine psicologica originaria diventa qualcosa che entra nella sua polemica contro la società. Si sente sempre più messo in un angolo, perché le sue idee non vengono più ascoltate, perché la civiltà sta prendendo un'altra strada, e soprattutto ciò che lo fa sentire più solo è che il suo odio forte e indiscriminato per la borghesia - che gli fa dire "per me la borghesia non è una classe sociale, ma una malattia" - diventa una ragione di grande amarezza quando a partire dal 1960 vede che questa classe sociale (che odia in maniera così disperata), che sta invadendo lo spazio prima riservato all'aristocrazia e al proletariato, sta diventando l'unica classe possibile. È ovvio che a quel punto Pasolini si senta isolato, e tutti ormai sono diventati gli "altri", e questo fatto si rivela un motivo di esclusione, più forte ancora dell'omosessualità. In questa borghesia tanto detestata, che è naturalmente una borghesia un po' "sognata", lui ci mette dentro tutte le cose che odia di più, e che sono i vizi esattamente opposti alle qualità che amava di più nei proletari. Mentre nei proletari ama l'imprevidenza, il fatto che "vivono alla giornata come i gigli del campo e gli uccelli del cielo", il borghese è invece quello che prevede tutto, che ha i soldi in banca, l'uomo "prudente". Pasolini, d'altronde, anche come critico letterario è uno che odia le vie di mezzo, anche stilisticamente dice di volere solo ciò che è o molto sopra o molto sotto al linguaggio medio. La borghesia rappresenta esattamente questa linea media, che è la cosa che lui odia di più.
[...]
Ancora adesso, leggere Pasolini non è innocuo...
Una delle ragioni per cui allora le cose di Pasolini facevano così rumore quando uscivano e per cui ancora adesso leggere Pasolini non è innocuo - in genere si tende ad esserne violentemente o attratti o respinti - sta proprio nel fatto che tutto quello che dice anche a livello teorico é sempre tinto da una sua esperienza personale, e questo fatto può dare molto fastidio quando chi ascolta o chi legge ha bisogno di ragionamenti lucidi e il più possibile oggettivi.  Questo fatto, per esempio, faceva impazzire Fortini ogni volta che parlavano insieme di politica, tanto che a un certo punto Fortini arrivò ad accusarlo di servirsi della politica per i propri esercizi di stile. Ma indubbiamente dietro ogni frase di Pasolini c'è anche un grande narcisismo. Nello stesso tempo, però, queste espressioni "private" danno alle sue analisi politiche, spesso ai limiti dell'invettiva, un carattere di urgenza passionale che sicuramente colpisce molto il lettore. Dietro alla mutazione antropologica, quando dice che il corpo dei ragazzi ne è completamente degradato, che stanno diventando sempre più brutti e grigi, e che i ragazzi sottoproletari, che prima prendevano in giro i borghesi, ora li vedono come i loro modelli, noi certamente sentiamo anche una sua disperazione "privata", di uno che non riesce più a trovare dei corpi degni di desiderio, ma proprio questo gli dà una specie di "occhio in più" nel vedere proprio questi cambiamenti. Difatti, mentre molte cose che diceva poi si sono rivelate poco vere, questa riflessione sulla lenta omologazione di un po' tutto il mondo su un unico modello culturale certamente è vera e anche se lui non è stato il primo a vederla, con questo "occhio in più" di passionalità che ci metteva, è riuscito a lasciare sul tema un segno più profondo. [da: intervista della Redazione di Rai International, 1999]
SCRITTI CORSARI - immagine della copertina originale della prima edizione

  SCRITTI CORSARI
VEDI ANCHE

9 dicembre 1973. Acculturazione

22 settembre 1974. Lo storico discorsetto di Castelgandolfo

14 novembre 1974.
Il romanzo delle stragi

 Un dibattito del collettivo redazionale di
"salvo imprevisti"

SAGGISTICA
VEDI ANCHE

Passione e ideologia

Canzoniere italiano, la poesia popolare italiana

Empirismo eretico

Lettere luterane

Le belle bandiere

Descrizioni di descrizioni

Il caos

L'odore dell'India

Il portico della morte

Scritti corsari

Lettere (1940-54)

Meditazione e spiritualità nelle opere più recenti di Pier Paolo Pasolini
di Uberto Scardino

Ancora considerazioni su alcune opere di
Pier Paolo Pasolini
di Uberto Scardino

Pasolini e le ultime illusioni,
di Franco Fortini

Pasolini contro Calvino,
diAngela Molteni

Che cosa è e come è
fatta la critica,
di Angela Molteni

Bibliografia

La saggistica - Walter Siti su Pier Paolo Pasolini


Vai alla pagina principale

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.